GIULIO CAVALLI proposta spettacoli

Falcone, Borsellino e le teste di minchia (30 anni dopo)

Giullarata stand-up antimafiosa

di e con Giulio Cavalli

Perché ridere di mafia è antiracket culturale. E le mafie, come tutte le cose terribilmente serie, meritano di essere derise.

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«Giovanni ho preparato il discorso da tenere in chiesa dopo la tua morte:  “Ci sono tante teste di minchia che sognano di svuotare il Mediterraneo con un secchiello.
O quelle che sognano di sciogliere i ghiacciai del Polo con un fiammifero.
Ma oggi signori e signore, davanti a voi, in questa bara di mogano costosissima, c’è il più testa di minchia di tutti: Uno che aveva sognato niente di meno di sconfiggere la mafia applicando la legge…” »

[Paolo Borsellino a Giovanni Falcone]

Ma non è forse che siamo tutti teste di minchia, noi che avevamo sognato di sconfiggere la mafia applicando la legge e parlandone dappertutto?

Falcone e Borsellino li commemoriamo eppure non hanno nemmeno finito di raccontarci tutta la storia. Ancora non sappiamo chi ha posato i fiori e chi ha posato le bombe.

Non se ne parla più, non ne parlano più. Le mafie sono scomparse dai radar del dibattito pubblico e della politica eppure le operazioni raccontano una realtà diversa. I mafiosi sono sempre gli stessi: hanno nomi e cognomi (che non vogliono che vengano pronunciati e invece li pronunciamo), sono goffi e imbarazzanti nelle loro storie e nelle loro intercettazioni (che noi leggiamo sul palco, cosa c’è di meglio?) e abitano tranquilli facendo finta di essere buoni cittadini.

Poiché ridere di mafia è il modo migliore per neutralizzarla e praticare la memoria di Falcone e Borsellino è il modo migliore per onorali, ridere e ricordare sui palchi è il modo migliore per additarli e per cominciare a sconfiggerli (e costringere chi deve farlo a farlo).

Si rivendono come autorevoli boss, sono sempre le uniche vere teste di minchia.

Durata 70 minuti circa

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Disperanza

di e con Giulio Cavalli
fisarmonica Guido Baldoni

La chiameremo disperanza. Non è una disperazione. Disperazione è una manifestazione incontrollata di tristezza e di rabbia, un crollo verticale che presume una soluzione implosiva o esplosiva, un sentimento insostenibile sul lungo periodo che porta alla rinascita o alla frantumazione. La disperanza invece ha un significato più tenue ma cronico, qualcosa che insopportabilmente diventa sopportabile per lunghi periodi, uno status che può rimanere appiccicato anche per vite intere.

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I disperanti sono uomini e donne del nostro tempo, giovani che non si aspettano niente, che credono nell’occasione e non nell’opportunità, adulti che hanno reso le armi ma non possono permettersi di abbandonare la lotta, cittadini sempre in transito di una società che ci spinge a essere inevitabilmente ottimisti, positivi e performanti.
Disperante è Giulio Cavalli, che a partire dalla propria esperienza personale, affronta a cuore aperto un fenomeno unico del nostro tempo. È possibile individuare il momento in cui abbiamo perso la speranza? Quali sono i motivi, lavorativi, personali, di salute, politici che ce l’hanno fatta smarrire? Oggi si possono ancora dichiarare senza vergogna le nostre fragilità contro la retorica del superomismo?
Una cassetta degli attrezzi per continuare a sperare.

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Giulio Cavalli
attore, regista, giornalista e scrittore ha iniziato l’attività teatrale formandosi nella Commedia dell’Arte. Tra i suoi lavori più importanti ci sono Linate 8 ottobre 2001 (che ha debuttato al Piccolo Teatro di Milano), Kabum! (giullarata sulla resistenza
con la regia di Paolo Rossi), Benvenuta Catastrofe (con la regia di Dario Fo). Negli ultimi anni si dedicato al tema delle mafie (dal processo Andreotti, con la collaborazione drammaturgia di Gian Carlo Caselli fino alla vicenda di Marcello Dell’Utri). Con la giullarata Nomi, Cognomi e Infami (di cui questo spettacolo è la naturale prosecuzione) ha girato i teatri, le piazze e le scuole in più di 500 repliche.
Ha vinto il premio Fava Giovani nel 2009, il premio Borsellino nel 2012 e il XXIII Premio internazionale Rosario Livatino Antonino Saetta-Gaetano Costa nel 2017. Scrive per Left, Fanpage e collabora con L’Espresso.
Ha pubblicato libri per Chiarelettere, Rizzoli e Verdenero.